Ascensore inclinato


Secondo me l’unico valore aggiunto ottenuto dai cittadini di Perugia con la realizzazione del “minimetrò” (per gli amici “bruco mela”) nella mia bella città, è l’ascensore inclinato del Pincetto, quello  posizionato al capolinea che dà accesso al centro storico. Sarebbe destinato ai disabili, alle donne incinte o a quelle coi passeggini – c’è tanto di cartello: è per chi non può usufruire delle scale mobili – ma in realtà lo usano cani e porci, tra cui gli studenti che lo riempiono e alla fine per i reali destinatari non resta posto. Solite cose all’italiana.

Ma, in questa sede, non voglio (ci pensano già abbastanza la stampa locale e la stessa cittadinanza) criticare l’Amministrazione Comunale per aver speso un’enormità di denaro per disintegrare la città, bucarla con orrendi ferri rossi, attraversarla in ogni dove con micro-carrozze volanti (qualcuno le chiama le “supposte volanti”) rumorose e poi far pagare un prezzo esoso per usare il bruco mela, di cui pochi, alla fine dei conti, si servono: ormai tutti sappiamo che è stato un investimento sbagliato che, allo stato attuale, non si può dismettere. E allora ce lo teniamo e lo usiamo, almeno io, per evitare le multe che altrimenti prenderei posteggiando l’auto dove non si può e per risparmiare sul costo dei parcheggi ai quali, specialmente in centro, vi consiglio fortemente di non accostarvi per non avere mancamenti al momento del pagamento del pedaggio. E se lo prendiamo, anche dopo l’iniziale ed entusiastico “gimo che è bulo” (trad. dal wikidonca: “andiamo che è uno spasso!”) provato la prima volta che ci siamo saliti (proprio come sulle giostre), è perché ci serve davvero e allora cerchiamo il positivo anche in questa disfatta amministrativa. Per me il positivo è proprio l’ascensore: a usarlo di primo acchitto ci vuole davvero la lente d’ingrandimento per trovare qualcosa di bello, ma scavando a fondo con l’immaginazione e con qualche trucchetto da habitué ci si riesce. Testato. L’ascensore è inclinato perché, come si sa, Perugia è una città tutta in salita – in ogni senso:  non solo perché arriva fino a 961 metri sul livello del mare, ma anche per sanità, politica, scuola, … – e per salire in centro servono le scale mobili (quante ne abbiamo, povera Rocca Paolina!), gli ascensori o le gambe buone. E costruire un ascensore con un tale dislivello di pendenza non è affatto facile, credo che i progettisti ci abbiano sudato sopra non poco: è sorretto, nel suo movimento di ascesa e discesa, da funi di acciaio molto spesse e resistenti e lo spostamento è guidato da grossi pesi. Peccato che – ironia della sorte – spesso sia chiuso, forse proprio perché  (suppongo e spero io)  necessita di continue e specifiche manutenzioni e ispezioni di sicurezza.

Su e giù, giù e su… ma sempre inclinato resta… La riflessione che faccio ogni volta che ci salgo – praticamente tutti i giorni – è che anche la mia anima è una navicella inclinata che viaggia verso il cielo; anch’essa, come l’ascensore, è trainata e sorretta da grosse corde (dette, appunto, corde dell’anima), debitamente forniteci dal Produttore che, pur essendo forti e tenaci, rischiano di spezzarsi e spesso si inceppano, a causa di negligenze e deviazioni varie. E, come per l’ascensore, anche per me è un continuo andirivieni tra l’alto e il basso… E’ davvero dura mantenere costante (nel mio caso ad un livello almeno accettabile) la propria fede, soprattutto perché il più delle volte mi sento così nulla rispetto ai bellissimi giardini – quelli del Pincetto, appunto – che mi aspettano in cima, che preferisco ributtarmi giù a capofitto nel buio del piano terra dell’ascensore. Bella scusa! E che strada comoda scelgo! Se avessi la forza e la costanza di aggrapparmi bene alle funi e di non guardare la profondità oscura da cui parto (i primi due piani interni sono al chiuso, ci sono solo muri) riuscirei ad arrivare a livelli più alti per scoprire un panorama mozzafiato: quando si giunge in cima all’ascensore, voltandosi con un movimento semplice ma che ha quasi del magico verso la vetrata, davvero manca il respiro. E anche se il paesaggio è sempre quello, in realtà cambia ogni giorno: nelle giornate limpide e assolate si possono notare le dolci colline che si susseguono fino ai Monti Sibillini. Sembrano vicini in linea d’aria, in realtà sono lontani, tanto che più oltre, lo sguardo si perde fino all’infinito. Se si presta attenzione, sulle colline si possono scorgere case, strade, chiese, paesi – grandi e piccoli –  disseminati nel territorio umbro. Tra questi, balza subito all’occhio Assisi arroccato verso la metà del Monte Subasio: si può scorgere la Rocca e il Sacro Convento annesso alla Basilica superiore, con i suoi archi imponenti che lo sorreggono. Nel guardare questa meraviglia – è stata persino inserita dall’Unesco nella Lista dei patrimoni dell’umanità – mi viene sempre in mente la frase di  S. Francesco: “Un raggio di sole è sufficiente per spazzare via molte ombre“; dal Pincetto i raggi del sole mi avvolgono e davvero le ombre scompaiono, il mio cuore si dilata e si riempie del loro calore così quasi da palpitare di pace e serenità.

Nelle giornate piene di nebbia o cariche di pioggia, però, il panorama acquista tutt’altro scenario: già dal vetro gocciolante e umido si può comprendere che al di là della coltre di nubi non si vedrà nulla. Quelle colline verdeggianti e splendenti di sole sono solo un ricordo, tutto è piatto e uniforme, in un grigio esteso e ammorbante che mi penetra fin nel profondo, raggelandomi l’anima. Provo spesso queste sensazioni di abbandono. So che il sole tornerà, che il paesaggio ora nascosto sarà di nuovo lì, di fronte ai miei occhi ma ora non lo vedo. Cosa fare in questi casi? Ributtarsi nei seminterrati dell’anima? Vedo le corde: posso provare ad aggrapparmici con forza così da farle vibrare in un canto – quasi un grido – di preghiera, di lode a Dio perché mi sorregga e mi dia la forza per sperare ancora di poter riprendere l’ascesa. Carlo Carretto diceva:

“Il grado della nostra fede è il grado della nostra preghiera; la forza della nostra speranza è la forza della nostra preghiera; il calore della nostra carità è il calore della nostra fede”.

Con la Quaresima, tempo di conversione, il Signore mi dà proprio gli strumenti giusti per ispezionare i difetti delle mie corde, ripararle e mantenere così viva la mia ascesa verso l’alto e aumentare la forza della mia speranza: attraverso la preghiera, il digiuno dal superfluo e la pratica della carità, posso rimettermi in carreggiata e risalire verso di Lui. 

10 pensieri su “Ascensore inclinato”

  1. Soprassiedo sul bruco mela (almeno su quello vero riesci a trovare i biglietti omaggio),e mi soffermo sull’ultima parte, su questo tempo di conversione che tu menzioni e mi tornano alla mente le parole di una grande donna, citata anche nel tuo libro, a proposito del fare penitenza:
    “La prima penitenza che Dio ama e vuole da noi è quella implicita dell’amore al prossimo”.
    Credo ci costi assai più di tante altre forme esteriori, ma per il semplice fatto che vale anche di più!
    E questo esercizio fatto nelle giornate uggiose e nebbiose ti rimette presto in sintonia con l’esenziale delle cose, ti “olia” ben bene le corde per farti risalire meglio.

    1. Ognuno ha i propri strumenti per oliare le corde dell’anima.
      Quello che nomini tu, attraverso le bellissime parole di Chiara Lubich, – l’amore al prossimo, la carità – è il più immediato, forse, perché ci fa entrare in contatto subito con quel Dio nel tu, nell’altro.
      Vale più di mille preghiere sterili, di cento digiuni, o altre forme di ascesi verso Dio perché, amando il prossimo, ci riappropriamo anche del nostro rapporto con Dio. E costa fatica, è un continuo allenamento, che implica il superamento si sé, il perdono per eventuali torti subiti e molto spesso si attua con il fare il primo passo.
      Come sottolinea S. Paolo nel suo Inno alla carità, intesa come amore cristiano, essa “tutto tollera, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” e viene posta nel gradino più alto, addirittura sopra la fede e la speranza.
      Io spesso mi dimentico facilmente di questo invito, grazie per avercelo ricordato tu.

  2. Mentre la giornata si sta avvicinando al tramonto e il silenzio cala anche sul posto di lavoro,leggo le tue parole Luisa e,d’incanto,mi accorgo che fermarsi a riflettere non sulle cose negative ma sulle cose positive che mi circondano,guarisce le tante pene e preoccupazioni quotidiane.
    Grazie per questo momento di pace.
    Sunrise

    1. Il tuo nome già porta in sè quanto tu scopri leggendo le mie parole, hai in te fin dalla nascita il gene della speranza e della positività. Diceva Emily Dickinson:

      “A tutti è dovuto il mattino, ad alcuni la notte. A solo pochi eletti la luce dell’aurora”.

      Tu sei tra questi eletti: hai in te questa luce!
      L’aurora evoca la dolcezza di un nuovo giorno che nasce, coi suoi toni pacati ma mai uguali che destano dalla notte gli occhi e il cuore. E per affrontare la giornata che s’affaccia con le giuste energie e fino al tramonto a volte basta una preghiera, un’invocazione alla Madre di tutte le aurore: con lei al fianco e dentro, ogni pena o preoccupazione viene ridimensionata e la pace sgorga inevitabile e mai scontata.

  3. Leggendo le tue parole mi viene in mente quanto diceva S.Agostino “SOTTO LO STESSO FUOCO LA PAGLIA BRUCIA E L’ORO BRILLA”, desidero impegnarmi anche in questa nuova giornata per diventare ORO invece che paglia.
    Sunrise

  4. Mi piace molto l’assonanza tra le corde del “bruco mela” e quelle della nostra anima.
    Il nostro Produttore ci ha dato l’anima spetta a noi la manutenzione delle corde per non cadere all’improvviso e farci tanto, tanto male.
    Ma ciò che ci sostiene sempre, persino nei momenti più neri è la fede. Sono d’accordo con Carlo Carretto.
    Continua a scrivere, hai uno stile ricco di vocaboli, segno che molto hai accumulato nel terreno della tua anima.
    Prima o poi i frutti si maturano.
    Per concludere il minimetrò è un orrore per la nostra città.
    Ciao Anna Rita.

    1. Sì anna rita, il minimetrò è proprio un orrore per la nostra città.
      Come suggerivo io, cerchiamo comunque di vedere il positivo, che in questo caso è l’ascensore e la sua vista.
      Le corde di cui parlavo sono proprio quelle dell’ascensore che, metaforicamente, sono quelle della nostra navicella-anima in ascesa verso l’alto, verso Lui. La fede ci sostiene, come sottolinei tu, e aggiungo anche l’amicizia con persone “belle” che ci aiutano a rimanere sulla giusta corda.
      Grazie per l’incoraggiamento a scrivere: l’inchiostro, se usato nella giusta maniera, può essere strumento di crescita per la propria fede e per arricchire il nostro guardino di nuovi e profumati fiori (persone): questi sono i frutti dello “scrivere per donare”.
      Ti aspetto ancora: stesso canale!

  5. solo oggi sono riuscita a leggere questa tua citazione e mi stupisce tanto il fatto che riesci a correlare anche le cose che usiamo quotidianamente, come può essere l’ascensore, e a dargli un tono quasi poetico correlandolo ad un aspetto della nostra vita… Questa frase è bellissima “Vedo le corde: posso provare ad aggrapparmici con forza così da farle vibrare in un canto – quasi un grido – di preghiera, di lode a Dio perché mi sorregga e mi dia la forza per sperare ancora di poter riprendere l’ascesa.” Grazie Luisa sei sempre una ricchezza….

    1. Cara Anny, ognuno di noi è una ricchezza, se la condivide.
      E chi legge queste pagine, con i vari commenti, si accorge che in questo piccolo blog ce n’è tanta di ricchezza perchè ognuno dona la propria anima, che non è facile da trovare di questi tempi.
      Non saremo ai livelli di grandi blog, ma questa piccola compagnia mi sta appassionando!
      Andiamo avanti insieme, amici tutti!

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