Sembra anacronistico parlare di solitudine nell’era digitale, dove è sufficiente un click per avere l’apparenza di uscire da sé. Ma bastano realmente uno schermo, un mouse o una telefonata per sentirsi meno soli?
No, qui si sta parlando della solitudine vera, quella che scaturisce dalla sofferenza, quella interiore, quella che ti costringe a sentirti solo anche in mezzo al vociferare della folla.
Sì, perché la Voce che devi sentire è un’altra, non è di questo mondo.
Con la canzone che voglio proporvi questa volta, torno alle origini, al mio primo vero “amore musicale”: Eros Ramazzotti. Per quanto anche lui ormai sia diventato troppo famoso, spesso commerciale, riesce ancora a sfornare delle canzoni che hanno un impatto fortissimo dentro di me: come la musica, insieme alla scrittura, rappresentino nel mio io più profondo la leva che scardina le emozioni, anche le più nascoste e soffocate da un periodo buio.
Questa canzone apre a temi di valore universale, come l’uguaglianza tra razze, la solidarietà, l’importanza di riconoscersi figli dello stesso mondo: si parla della violenza, della guerra che scaturiscono dalla differenza del colore della pelle; si parla anche di distanza e di egoismo ma il tema che più mi ha colpito è quello della solitudine, quella dura, che non ti permette nemmeno di riconoscerti allo specchio. La forza reale della canzone, oltre al testo, è come è stata congegnata e strutturata: il ritmo incalzante in cui fanno da padrone le percussioni e soprattutto l’alternarsi di 4 voci, ognuna con un suo ruolo ben definito, rendono la canzone molto movimentata, mai stancante che permette all’ascoltatore di destarsi dal suo sonno interiore e, in fondo, di capire di avere i mezzi per uscire dalla propria solitudine. Le voci, oltre a quella di Eros, sono: il coro di sottofondo che poi così in sottofondo non è ma, anzi, sostiene il ritornello, ne esalta e accentua le parole; sul finale si staglia la voce di Nicole Scherzinger che con acuti dirompenti in inglese aggredisce la coscienza contro la violenza; ma la voce che più colpisce in questa canzone è quella di Giancarlo Giannini che rende la canzone “teatrata” attraverso il suo talento nella lettura e nell’interpretazione dei testi. Il timbro, il tono, il volume ben calibrato di ogni suo verso inducono chi ascolta a voler riascoltare ancora e ancora e ancora, per poter scandagliare ogni singola parola, farla propria e ricordarla per sempre, perché di grande impatto e scuotimento interiore. Ecco le parole, magistralmente interpretate da Giannini:
«Non ho niente da insegnarti, ti parlo come se parlassi a me,
ho solo fatto un’altra strada, ma sono arrivato qui come te.
E devi lottare ogni giorno per migliorare te stesso,
per avere il coraggio di vederti riflesso, di guardarti allo specchio…
A volte ti sembra di sostenere il cielo
e che sotto quel peso non ci sia nessuno,
ma guarda fuori! C’è un mondo bellissimo,
è tutto giusto è tutto sbagliato, abbiamo tutti una ragione…
Ma non siamo mai soli se non lo vogliamo
e siamo più uguali di quanto sembriamo
ora dammi la tua mano…»
Nel ritornello Eros canta una frase che mi colpisce molto: «Quando aspetti che piova per piangere». Si riferisce a quei momenti in cui si sente di aver «fatto già tutto il possibile ma non è bastato mai» o a quelli in cui «puoi solamente decidere ma non hai deciso tu» e parla di tempeste e uragani in arrivo. L’attendere la pioggia per poter piangere può avere, a mio avviso, due interpretazioni: o le lacrime sono esaurite e si aspetta la pioggia per poter sentire ancora le gocce che solcano il viso, oppure si piange solo quando le lacrime si confondono con la pioggia, così da poter nascondere al mondo la propria disperazione. In entrambi i casi siamo di fronte a un dramma: ci si vergogna di piangere o si è prosciugati in una delle manifestazioni più esteriori e naturali della vita. Basta pensare ai bambini piccoli che usano il pianto per palesare le proprie esigenze perché non hanno ancora la parola.
Non avere più lacrime, secondo me, è più triste che piangere. E anche il vergognarsene.
E poi, provata mai la sensazione di aver fatto tutto il possibile ma questo non basta ancora?
L’essere disarmati di fronte all’ineluttabile è sconvolgente.
Il bello della canzone, però è che Eros dice tutte queste cose dure e difficili senza pietismi o lamentazioni, anzi il tempo e la melodia sono veloci, incalzanti e l’alternarsi delle 4 voci ne accelera e intensifica il ritmo. Si vuole smuovere, incitare mente e corpo, non rattristare: in un crescendo incredibile, quasi eccitante. Proprio quello ci vuole quando si è nel torpore, nell’intontimento dati da notizie o eventi che non causano più nemmeno disperazione ma solo attonimento misto a rassegnazione e incredulità.
Nelle strofe Eros parla di speranza nel cambiamento, incita a «non alzar bandiera bianca», quindi a non mollare, a non ammainare la bandiera della propria vita, perché la speranza non muore mai. Eros risponde a tutte le inquietudini, a tutti gli interrogativi con le 3 parole del titolo: io sono te.
Le racchiudo in un semplice schema:
Io guardo fuori –> esco da me –> faccio il primo passo –>incontro te –> non sono più solo.
Ci dice, poi, che «Un abbraccio è come l’acqua, perché è una necessità»: allora, abbeveriamoci l’un l’altro, colmiamo questa nostra sete dissetandoci a vicenda alla fonte dell’amicizia. Guardiamo fuori dalla nostra solitudine, c’è un mondo bellissimo (come grida Giannini) e «non siamo mai soli se non lo vogliamo!» Basta tendere una mano…
Ecco la canzone (non ha un video ufficiale), col testo sotto (anche in spagnolo, per la gioia di Bull che detesta Ramazzotti e non l’ascolterebbe mai!), lasciamoci trasportare dalla grinta incrociata di queste 4 voci e… usciamo da noi stessi per incontrarci, anche ora, in questo inutile blog!
Ho ri-ascoltato volentieri la canzone di Eros ed ho trovato interessante l’argomento da te proposto. Condivido il concetto di uscire da se stessi e andare per primi verso gli altri,in un atteggiamento di apertura. In particolare apprezzo il concetto dell’abbraccio.
Ultimamente nel corso della mia vita mi è stato parlato spessp dell’abbraccio come “arma” di tenerezza per sconfiggere malessere e solitudine e creare armonia con gli altri e soprattutto il coniuge.
Io li ho sempre chiesti: ai miei fratelli, ai miei genitori e ora spesso a mio marito. Il contatto fisico è magia…
Se tutti ci abbracciassimo di più ci sarebbero meno litigi e tristezze. E’ banale lo so, ma è comunque vero…
UN ABBRACCIO A TE LUISA! 🙂
Un abbraccione a te, Sisterina, per ora virtuale, poi ce lo daremo reale!
Abbracciare, o anche solo tendere la mano…
Quanti muri crollerebbero!
Grazie come sempre per la tua capacità di trasformare tutto in poesia!!1
Grazie Rita, ma la poesia non è mia ma di Eros!
Una canzone poesia!
tu cammini solo ma io sono te….
la solitudine è una condizione che mi accompagna da tanti anni e queste parole che hai scritti mi scaldano il cuore: “Nelle strofe Eros parla di speranza nel cambiamento, incita a «non alzar bandiera bianca», quindi a non mollare, a non ammainare la bandiera della propria vita, perché la speranza non muore mai. Eros risponde a tutte le inquietudini, a tutti gli interrogativi con le 3 parole del titolo: io sono te” grazie Luisa un abbraccio
Cara Cristina, “non siamo mai soli se non lo vogliamo, ora dammi la tua mano!”
Vorrei scaldare il tuo cuore abbracciandoti davvero per farti sentire che non sei sola!
Ramaccioni in galera!
Bell’articolo ma per dignità personale, pur essendoci lo spagnolor, non ho ascoltato la canzone 🙂
Baci
Ahahahahah
Ascoltala, dai! Mica ti infetta!
😀
grazie luisa, per fortuna che ci sei tu che risvegli in me delle emozioni, ci sono stati dei momenti, e tutt’ora ce l’ho, dove penso di non avere più lacrime e altri dove aspetto la pioggia….
canzone bellissima… ti abbraccio…
Non avrai più lacrime, amica mia, ma una mano tu la tendi sempre e davvero a tutti… e non aspetti niente per tenderla, nemmeno la pioggia!
Le tue sono lacrime fattive, concrete che spazzano via le lacrime degli altri.
Sei davvero un gran dono di Dio!
Ti voglio bene!
grazie Luisa per le tue parole, e non solo, sei un’Amica cara e Speciale. Un vero dono sei TU. Ti voglio bene anch’io…!!!
Avevo appena ricevuto una notizia non buona che mi ha sconfortato,allora ho aperto il blog ed ho letto il tuo commento Anny e la risposta di Luisa e mi ha rincuorato davvero sapere che vi ho sempre avute accanto,pertanto oggi voglio pensare alla nostra bellissima amicizia che mi aiutera’ ad affrontare anche le cose negative che mi si presentano davanti.
A proposito di canzoni…Vi ricordate questi versi?
“Quando tutto e’ perso…
Dai spera anche tu,abbiamo ancora la forza di non mollare!
Fai come Gesu’,dare la vita per gli altri con piccoli segni d’amore”
Un abbraccio ad entrambe.
Sunrise
“Ne gubi nadu”!!
Certo che la ricordo!
Eravamo giovani e spensierate!
Cantavamo la gioia della sequela di Gesù; ora, nel silenzio, siamo chiamate a cantare la croce di Gesù!
Io ci sto, Sunrise e Annalisa e chiunque lo vorrà, e voi?
Ops, ho fatto confusione, non era “Ne gubi nadu” ma Caleido la canzone che ricordava Sunrise… sto davvero invecchiando!
Ma il resto scritto sotto resta valido!
Ps: OGGI IL BLOG COMPIE UN ANNO!
Il primo post porta la data del 27 febbraio!
Si parlava di cammino… quanta strada abbiamo fatto insieme!
Grazie a tutti coloro che hanno dato il loro contributo, anche solo con un click!
Vi abbraccio virtualmente!
Auguri per il primo anno è un bel traguardo. Riesci a gestire casa, la famiglia bellissima con due miracoli, tutti i tuoi impegni fai più futili a quelli impegnativi personali. Oltre al blog riesci pure a venire a visitare le amiche. Sei un Dono del Cielo mia carissima, ti voglio bene un bacio e abbraccio
Cara Roberta,
ognuno è un dono del Cielo, basta riconoscersi come tali anche se si è miseri e inutili…
E basta lasciarsi “aprire” come un pacco, togliere i fronzoli e gli orpelli per mostrare la bellezza che c’è in ciascuno.
Anche tu hai tanto da donare…
Ti abbraccio forte.